“Con
occhi sempre attenti e con cicatrici visibili ed invisibili, mi diressi a Nord,
pieno di un’oscura nozione che la vita poteva essere vissuta con dignità, che
l’altrui personalità non deve essere violata, che gli uomini debbono essere in
grado di guardare in faccia gli altri uomini senza timore o vergogna e che se gli uomini son fortunati
nella loro vita sulla terra possono trovare qualche riscattante significato per
aver lottato e sofferto quaggiù, sotto le stelle.”
(R.
Wright – “Ragazzo negro”).
In una mattina
come tante di un giorno come tanti sono lì che mi affanno a spiegare ai miei
alunni di prima elementare quanto sia bello avere dei compagni che provengono
da quasi tutte le parti del mondo, quanto sia importante confrontare i modi di
dire e le parole che si somigliano e bla bla bla, quando quel bimbetto del
primo banco, quello carino con gli occhiali sul nasino all’insù, alza la sua
manina, come gli ho insegnato per non interrompere gli altri quando parlano, e
chiede serafico: “è vero maestra che
tutti i bambini filippini hanno i denti cariati?”
“Certamente no!”
rispondo incuriosita; e lui, senza
scomporsi,: “no, no è proprio vero, lo ha detto mio padre!”. Stupidamente
insisto (deformazione professionale): “è
come dire che tutti i bambini nati a Viterbo portano gli occhiali!” Il bambino mi guarda con aria interrogativa,
tocca i propri occhiali perplesso e mormora: “se lo dice mio padre è così!”.